SINOSSI
di Malcolm Bilotta
La creatura vive.
La nuova epopea del mostro riprende esattamente dalla fine del romanzo di Mary Wollstonecraft Shelley. Dai ghiacciai che gli attanagliavano il cuore, oltre che le membra, viene caleidoscopicamente catapultato sulla tiepida spiaggia italiana dove sorge la villa che ospita la sua primordiale creatrice. Ed è proprio in questi luoghi incantati e in quel breve lasso di tempo che stanno regalando fugaci momenti di felicità a Mary ed al suo intrepido amante Percy Bysshe Shelley che si svologono le vicende narrate.
Il mostro intuisce di essere al cospetto della sua progenitrice.
Nicchia.
Tentenna.
Trasale.
Tracima di tutto il variopinto ventaglio di emozioni che forse un tempo conobbe. E come in un labirintico gioco di specchi si intrecciano le vicende interiori dei due che giungono a sfiorarsi, a subodorarsi, ad intravedersi forse, come lo specchio l’uno dell’altra, il riflesso argenteo reciproco, la luce e l’ombra che compongono l’intero.
Infine aleggia la presenza di una terza figura che adombra e tesse il lavoro stesso non tanto come letteratura, ma come propria discesa ad inferi per ricomporre le proprie fratture interne e riassemblare il puzzle che trae il suo balsamico potere dai dolci e prelibati doni del mondo ctonio.
La creatura vive dentro ciascuno di noi e questo lavoro assurge a mappatura aurea e circostanziata che indica come riacciuffare la sua energia smarrita nel congelamento interiore e permettere al primaverile tepore salmastro che abita il cuore di riappropriasi del suo infinito potere creativo.
PREFAZIONE
di Angelo Tonelli
In quella notte di tregenda a Villa Diodati, quando Mary Shelley, Percy Bisshe Shelley, Lord Byron e Polidori si sfidarono in una gara di racconti orrifici, Mary ideò il romanzo dedicato al dottor Frankenstein e generò un mostro destinato a diventare emblema e archetipo della modernità, soprattutto in questi nostri tempi in cui scienza, tecnica, economia e politica si saldano in un quadrinomio devastante per l’essenza stessa dell’umanità: il Transumanesimo, ovvero l’artificilizzazione della natura umana attraverso il trionfo della robotica, della ibridazione uomo-macchina, dell’internet delle cose, a opera di una élite di potere globale e proterva.
Ma veniamo al romanzo, o meglio al metaromanzo breve, di Petulia Lera. Petulia è cresciuta a San Terenzo, dove gli Shelley, e soprattutto Mary, soggiornarono per qualche tempo, e dove la notizia del naufragio di Percy si era abbattuta come un fulmine nel lontano 1822. Fin da piccola si era imbattuta in un singolare pupazzo, che rappresentava l’orrida e struggente Creatura del Doctor Frankenstein all’interno di villa Shelley, quando era visitabile come dimora storica in virtù del soggiorno in essa della famosa coppia di artisti romantici. È come se in quell’incontro l’Autrice e la creatura si fossero viste, conosciute, e in qualche parte della psiche di Petulia ne fosse rimasto un seme, pronto a germinare.
La storia inizia dalla fine del romanzo di Mary Shelley, quando la Creatura si lancia dalla finestra della cabina sulla zattera di ghiaccio e scompare nel buio. Proprio sulla zattera di ghiaccio si svolge la prima parte del racconto, in cui la Creatura scopre, attraverso intensi flashback, come si era svolta la sua esistenza prima che il Dottor Victor Frankenstein la riportasse in vita. Ricorda di aver avuto una famiglia, una moglie e una figlia amatissime, che troverà atrocemente assassinate. Sconvolto dal dolore, si spingerà a cercare un colpevole ignoto per soddisfare la sua sete di vendetta. Durante il tragitto sulle tracce dell’ipotetico assassino si placherà grazie alla catarsi del dolore e alla consapevolezza dell’inutilità della vendetta, che non potrà mai restituirgli l’amata famiglia.
I flashback si placano e la Creatura, ripreso contatto con la “realtà” tra i ghiacci, si lascia condurre dalla zattera in un labirinto di esperienze visionarie e mistiche, fino a perdere i sensi. Si risveglierà, metaspaziotemporalmente, sulla spiaggia di San Terenzo. In estasi per la visione del luogo, e incuriosito dal nuovo scenario, scopre alle sue spalle la bianca villa sul mare, in cui gli Shelley soggiornarono, e Mary, in particolare, lavorò al romanzo che l’avrebbe consegnata a gloria imperitura.
La Creatura ne inizia l’esplorazione, affiancata fin da subito dal rosso, astrale “amico felino”, che diventerà il suo mentore, accompagnandola e consigliandola con saggezza e intuito. Trova rifugio nella piccola cucina incustodita della casa, e dalla finestra che guarda sul giardino vedrà due dei suoi abitanti, Mary e Percy Shelley. Senza saperne l’identità, la Creatura rimarrà affascinata dalla figura della giovane Mary. Inizierà a muoversi come un fantasma per la casa, fino a un incontro inaspettato con lei. La Creatura continuerà poi l’esplorazione della villa, ormai consapevole che nella casa soggiorna un gruppo di eclettici amici. Rientrata nel suo rifugio, la cucina, preparerà buon cibo per l’allegra brigata di artisti romantici. In una bella serata di luna piena, mentre consegna segretamente la cena, sente Percy recitare, ebbro di laudano, alcuni versi della sua poesia “Ozymandias”, e presagisce il tragico destino che attende il poeta.
La Creatura e il gatto si trovano in soffitta tra decine di libri, e sfogliando un quaderno di appunti preparatori alla stesura del Frankenstein comprende che è Mary l’origine e la madre della sua travagliata vicenda. Finalmente Creatura e Creatrice si incontrano nella soffitta: qualche parola, uno sguardo, uno sfioramento…
L’incipit è costituito dalle parole tratte dal Diario del Mostro, e folgora così:
“Presto la zattera di ghiaccio su cui atterrai cominciò a ruotare vorticosamente su se stessa. Smisi di respirare: l’agonia dei rimorsi e l’odio che si consumava come una pira funebre cessarono improvvisamente. Tutto a un tratto non controllavo le mani assassine e disgraziate a cui avevo giurato di non rivolgere più lo sguardo: ero immobilizzato tra le vampe incandescenti di un freddo infernale. Una incredibile forza mi costringeva ed avvolgeva nella sua gelida guaina: fredda e veloce mi trasportava piroettando verso l’orizzonte. Lui era morto ed io potevo rinunciare alla vita.”
Quella che all’inizio del romanzo la Creatura si trova a vivere è la fase di “opera al nero” dell’alchimia, o le fasi del Bardo, in cui tutte le immagini samsariche proiettate dalla mente, dall’ego, emergono nei loro vari aspetti terrifici e non. È un attraversamento della notte buia dell’anima, come la catabasi infernale di Dante Alighieri, una catabasi che permette al protagonista di vedere e sentire chiaramente tutto ciò che in vita, o nelle vite precedenti, lo aveva condizionato, e come la mente sia l’unica artefice della Grande Illusione.
Il viaggio interiore, nella prima parte, aiuterà la creatura a divenire consapevole di tutto ciò, per poi condurla a una purificazione, nel corso della quale il cuore si spalanca all’entusiasmo della vita condivisa segretamente con l’allegra compagnia dei romantici, per concludersi con “l’opera al rosso”, il piombo trasmutato in oro, il ricongiungimento con l’Origine, con la Verità, con l’immortalità dell’Essere.
Nel Bar-do’ Tosgrol tibetano – teniamo conto del fatto che Petulia è cultrice e docente di discipline e pratiche meditative orientali – questo momento è descritto come il ricongiungimento con la CHIARA LUCE, la fine delle trasmigrazioni, il dissolvimento nel Vuoto mistico.
“Solo dopo la morte del Dottor Frankenstein, in quelle acceccanti immagini di dolore, tutta la mia storia si era svelata al mio cuore. E adesso, riemersa dal buio trafugatore, era tutta enormemente dentro di me. Sono ancora un apprendista in questa terra di confine, scelto da una bizzarra mente per essere iniziato all’esperienza della morte e della rinascita: l’eredità degna di un Cristo. Il mio cuore, trapiantato in un altro essere, aprendosi rilascia ricordi e vissuti: non sono più lo sconosciuto corpo livido e giallastro che abitavo, o rassomigliante nei sentimenti all’invidioso Angelo caduto, ma un’anima intrappolata nella paura di una nuova serie di reincarnazioni. Il maledetto ammasso di vizi e agonie si è liberato nella luce cristallina dell’Origine: a parte queste mie forme, testimoni della ripugnante intenzione del mio creatore, provo amore e compassione per me, e sento la generosità e la fede di quel momento”.
“Ma chi è la mente che contiene un simile viaggio?”, pensai.
…Io non appartenevo né agli dei, né ai mortali: questa considerazione mi affrancò da inutili pensieri viziosi e da tormentati sentimenti, stabilendomi in una nuova e suscettibile attesa. Mi sentivo come quegli eroi greci che avevano attraversato le umane tribolazioni e le temibili prove per avvicinarsi, ripuliti della superba tracotanza, all’olimpico stato immortale.
Non manca una riflessione sulla caducità e il destino di morte, a cui la tecnica tenta vanamente di trovare una soluzione al livello della corporeità, dimenticando che la vera soluzione può essere trovata soltanto a livello spirituale.
“Il mio creatore era stato dominato dalla più alta sincerità e onestà in quel soprannaturale progetto: riportare in vita un essere, mettendo insieme pezzi di carne inanimata.
Una missione di presunzione, la sua, pervasa dall’amore per l’uomo, che fin dalle origini è stato tormentato dalla sua propria caducità, dalla conclusiva morte. Così, divorato per mesi dal demone di una volontà macabra, il Dottore — senza sosta — aveva dedicato a me tutta la cura e la premura di cui era capace.
L’essere umano non consce la resa di fronte all’impermanenza, che ammalia ogni cosa su questa terra e oltre, e non si accorge di come proprio in questo mutamento di stato abiti, solenne, la Bellezza.
Colpisce, di questo testo, la scrittura: tesa, ammaliante perché ammaliata, amniotica e palpitante, percorsa da una suspense ininterrotta; sovrabbondante nelle aggettivazioni, e al tempo stesso solida, compatta. La suspense metaletteraria, complice di quella intrinseca alle rarefatte vicende narrate, trova acquietamento nell’explicit del testo, a cui in questa breve presentazione non posso che rimandare il lettore, una volta che si sia inevitabilmente lasciato trascinare nei gorghi tenebrosi e lucenti di un’opera che, a detta dell’Autrice stessa, si è scritta da sé, mysterium sorgivo, catarsi d’ombra e tragitto di pacificazione interiore.